I colori di Bali, densi, nebbiosi, terre rosse e nere, verde tra i fumi di un villaggio, una lama di luce che taglia la foresta e il verde diventa acciaio, acqua stagnante al sole, ombre lunghe, bianchi e neri, pietre avvolte nei colori, bandiere alte e strette, alberi addobbati, baldacchini cremisi rossi arancioni magenta e fiori, recisi, offerti, sparpagliati. Una piccola isola, bellissima, dimenticata negli anni, ha sviluppato una tale varietà di danze e di forme drammatiche divenendo di fatto il sogno di un viaggio in un paese esotico, l’isola della bellezza e dell’amore.
E sono forse queste due entità che i Balinesi venerano, quando a piccoli gruppi trotterellando con ombrelli e baldacchini colorati attraversano un incrocio affollato.
Chi ricorda Denpasar alla fine degli anni sessanta, con le strade sterrate e le lampade a olio che diffondevano casuali ombre danzanti rischiarando a malapena i warung, potrebbe rimanere sbalordito, oggi, trovandosi imbottigliato nel traffico mattutino di Gianyar senza sapere esattamente cosa fare. Ma osservando la folla, dei segnali antichi e precisi ci vengono incontro, non siamo distanti dalla nostra meta; una stradina invitante, un costume tenuto sottobraccio, una maschera che spunta da un cesto, un pick-up carico di strani individui, basta seguirli per arrivare al villaggio di Batu Bulan dove ogni mattina si può ammirare la Barong e Kris dance.
La danza Barong è la rappresentazione della eterna lotta tra il bene e il male. Barong è lo spirito buono che ha il potere di preservare la vita e la purezza del villaggio, Rangda è il caos, il male, la morte. Dopo cruente battaglie con largo spargimento di sangue compresi pugnali avvelenati e varie magie il bene finalmente trionfa. Dicono che a volte nella foga del recitare gli attori si feriscano seriamente e qualcuno sia morto.
In ogni caso le maschere di Barong e Rangda sono considerate sacre e prima di ogni trasporto devono essere benedette con l’acqua sacra del monte Agung.